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Le terapie

La radioterapia

La radioterapia consiste nell’uso di radiazioni ad alta energia per distruggere le cellule tumorali eventualmente rimaste nella ghiandola mammaria, nei linfonodi ascellari, o nella parete toracica. Tutto ciò al fine di ridurre il rischio di una ripresa del tumore nella sede dell’intervento, nel seno residuo o nelle zone vicine.

La radioterapia viene di solito somministrata entro i primi due mesi dall’intervento chirurgico. Il trattamento dura sei settimane, con somministrazioni giornaliere di piccole dosi di radioterapia fino a raggiungere la dose voluta. Il “frazionamento” in dosi più piccole serve a limitare il danno che la radioterapia può recare alle cellule sane e quindi i suoi effetti collaterali. Prima di iniziare le applicazioni, viene eseguita una “simulazione” del trattamento per definire esattamente l’area da irradiare e delinearla sulla pelle con tatuaggi puntiformi. Uno o due giorni dopo la simulazione, inizia il trattamento vero e proprio, che consiste in applicazioni giornaliere di radiazioni (dal lunedì al venerdì, con una pausa nel fine settimana) della durata di pochi minuti, nel corso delle quali si deve rimanere sdraiati immobili sul lettino. Le radiazioni vengono indirizzate con precisione verso la parte malata, così da risparmiare il più possibile i tessuti circostanti evitando di danneggiare le cellule sane. Nella prima parte del trattamento la radioterapia viene somministrata su tutta la ghiandola mammaria mentre nell’ultima settimana viene data una dose aggiuntiva nella zona del seno dalla quale è stato rimosso il tumore.

Le sedute di terapia si svolgono in via ambulatoriale ed il trattamento è del tutto indolore. Possono tuttavia comparire vari effetti collaterali. Il più frequente è la dermatite da raggi, che si manifesta più o meno come una scottatura solare: la zona interessata si arrossa, anche molto intensamente, diventa dolente e pruriginosa, e poi gli strati superficiali della pelle si desquamano. Tale dermatite inizia di solito a manifestarsi dopo 3-4 settimane di trattamento sia sulla mammella residua, in caso di intervento chirurgico conservativo, che sulla parete toracica in caso di mastectomia radicale. Solitamente inizia a regredire dopo il termine della radioterapia, anche se talvolta possono rimanere dei cambiamenti permanenti (iperpigmentazione della pelle, macchie rosse per la dilatazione di qualche capillare, perdita di morbidezza). Per ridurre questi inconvenienti è opportuno applicare delle creme protettive durante il trattamento (che verranno consigliate dal radioterapista) e trattare la parte con la stessa accortezza che si usa quando si prende una scottatura solare, evitando esposizioni al sole o lampade, detergenti aggressivi, profumi alcolici, indumenti stretti o sintetici. Un altro effetto collaterale frequente è la sensazione di stanchezza, che può persistere per qualche mese anche dopo la fine del trattamento. Cercate di dormire più a lungo e riposatevi durante la giornata, riducendo le vostre attività di lavoro. Altri effetti collaterali, come la tosse secca, disturbi della deglutizione o il gonfiore del braccio dal lato operato (linfedema) possono manifestarsi se la radioterapia è estesa ai linfonodi regionali o alla parete toracica. Gli accorgimenti indicati per la prevenzione del linfedema dopo trattamento chirurgico dei linfonodi ascellari si applicano anche alla radioterapia, mentre per i disturbi alla gola si può avere beneficio dall’assunzione di cibi freddi (gelati, granite, etc).

Riferite al radioterapista qualsiasi disturbo avvertito durante il periodo di trattamento, così che vi possa indicare i rimedi per affrontarli meglio. E ricordate che il trattamento radioterapico non vi rende “radioattive” e che potete quindi stare tranquillamente a contatto con altre persone, inclusi i bambini.

La chemioterapia

La chemioterapia viene solitamente somministrata dopo l’intervento chirurgico per distruggere eventuali cellule tumorali che possano essersi distaccate dal tumore primario e diffuse ad altri organi. Il suo scopo è quindi quello di aumentare le possibilità di guarigione o comunque di prolungare la sopravvivenza con una buona qualità di vita. In casi particolari, la chemioterapia può essere impiegata prima dell’operazione chirurgica per “ridurre” le dimensioni del tumore e facilitare quindi l’adozione di trattamenti conservativi (“quadrantectomia”) in sostituzione di interventi più mutilanti (“mastectomia”).

Le modalità di somministrazione della chemioterapia possono essere tante, ma la più comune è per iniezione in vena. I farmaci vengono solitamente diluiti in soluzione fisiologica ed infusi lentamente goccia a goccia in una vena del braccio o della mano attraverso un ago molto sottile (ago-cannula). Quando le vene del braccio sono difficilmente reperibili oppure se è previsto un trattamento prolungato nel tempo, si preferisce posizionare un piccolo catetere in una vena del torace (catetere venoso centrale) che viene lasciato in sede per tutta la durata del trattamento. Tale dispositivo viene inserito una sola volta all’inizio della chemioterapia e consente non solo di iniettare i farmaci, ma anche di effettuare i prelievi di sangue, evitando alla paziente il fastidio di doversi sottoporre a troppe venipunture. L’inserimento del catetere venoso centrale viene di solito eseguito dal chirurgo o dall’anestesista, in anestesia locale, con un disagio minimo. A seconda del tipo di trattamento e del tipo di farmaci usati, il trattamento chemioterapico viene generalmente effettuato in regime di day hospital, oppure nel corso di un breve ricovero. La somministrazione dei farmaci prevede 6-8 cicli. li numero totale di cicli dipende dal tipo di tumore, dal tipo di farmaci somministrati e dal modo in cui le cellule tumorali rispondono ai farmaci. Tra un ciclo ed il successivo è previsto un intervallo di qualche settimana per consentire all’organismo di smaltire gli eventuali effetti collaterali del trattamento. Prima di effettuare la chemioterapia è necessario sottoporsi ad esami del sangue per controllare il buon funzionamento del fegato e dei reni, oltre che i valori di alcune cellule del sangue (globuli bianchi, emoglobina e piastrine). Se il numero di tali cellule non risulta sufficiente, il ciclo di chemioterapia viene rinviato di qualche giorno e vengono somministrati farmaci (fattori di crescita) in grado di facilitare il rapido ripristino del normale valore dei globuli bianchi, globuli rossi e piastrine nel sangue.

Diffondendosi attraverso il sangue, i farmaci chemioterapici sono purtroppo in grado di danneggiare accidentalmente anche le cellule sane, in particolar modo quelle che crescono rapidamente (bulbi piliferi, mucose, cellule del sangue e del midollo osseo), causando talvolta spiacevoli effetti collaterali. Tuttavia, a differenza di quelle tumorali, le cellule normali subiscono un danno solo a carattere temporaneo e, di conseguenza, la maggior parte degli effetti collaterali cessano alla conclusione del trattamento. Gli effetti collaterali più frequenti sono rappresentati dalla caduta parziale o completa dei capelli, dalla nausea, dal vomito, dall’alitosi (sapore cattivo in bocca), dalla stomatite, dalla stanchezza, dal facile affaticamento, dalla stipsi o talvolta dalla diarrea. Inoltre, la chemioterapia può determinare la diminuzione dei globuli bianchi, dei globuli rossi e delle piastrine. Possono inoltre verificarsi irregolarità o interruzione completa del ciclo mestruale e sintomi tipici della menopausa (vampate, secchezza vaginale, prurito, etc.). Alcuni farmaci (es. taxani, vinorelbina) possono causare formicolio, sensazione di bruciore, senso di intorpidimento alle mani e ai piedi (neuropatia periferica). La chemioterapia può causare reazioni diverse da soggetto a soggetto e queste possono anche variare da un ciclo all’altro nello stesso individuo. Non tutte le donne hanno effetti collaterali, ma la loro assenza non è indicativa di una scarsa efficacia della terapia. Le “terapie di supporto” permettono di controllare meglio gli effetti collaterali della chemioterapia e migliorano notevolmente la qualità di vita delle pazienti in trattamento. Sono disponibili, ad esempio, farmaci che stimolano il recupero dei globuli bianchi come diversi farmaci antiemetici per eliminare o ridurre nausea e vomito. Ecco alcuni consigli utili per ridurre questi fastidi: consumare piccoli pasti e spuntini più volte al giorno, masticare bene, fare un pasto leggero alcune ore prima del trattamento, ma non mangiare nulla immediatamente prima e dopo la sua effettuazione. La caduta dei capelli è uno degli effetti collaterali più noti e temuti della chemioterapia (anche se alcuni chemioterapici non la provocano affatto). Si può verificare in pochi giorni o nell’arco di alcune settimane dall’inizio del trattamento e può interessare anche la peluria che ricopre il corpo ed il pube. Per cercare di minimizzare questo problema, può essere utile tagliare i capelli piuttosto corti prima di cominciare il trattamento, usare shampoo delicati, evitare permanenti e tinture, evitare di pettinarli o di spazzolarli con troppo vigore, non usare phon ed asciugarli tamponandoli con un asciugamano. Una volta terminato il trattamento, i capelli ed i peli ricrescono sempre. Nel frattempo, per attenuare il disagio della calvizie temporanea si può ricorrere all’utilizzo di una parrucca somigliante, nella struttura e nel colore, ai propri capelli, oppure all’uso di cappelli, foulard o bandane a seconda che si preferisca un look raffinato o sbarazzino.

La ormonoterapia

La terapia ormonale consiste nella somministrazione di farmaci capaci di bloccare l’azione degli ormoni femminili (estrogeni) sulle cellule tumorali. Si ritiene, infatti, che gli estrogeni siano coinvolti nell’insorgenza e nello sviluppo di almeno un terzo dei tumori mammari e che pertanto la loro soppressione possa agevolare la cura. Se le cellule tumorali si moltiplicano grazie agli estrogeni, il modo più semplice per impedire loro di svilupparsi è quello di privarle di tali sostanze o di fare in modo che non le possano utilizzare. Non tutti i tumori, però, si rivelano sensibili agli estrogeni e per verificarlo si esegue un test specifico, denominato “dosaggio dei recettori ormonali”. Se il tumore risulta essere ricco di recettori per gli estrogeni, le probabilità di un effetto benefico della ormonoterapia saranno maggiori.

Da oltre 20 anni, il farmaco di riferimento per la terapia ormonale del tumore della mammella è il tamoxifene, che ha dimostrato una elevata efficacia anche nella prevenzione ed oggi viene assunto giornalmente da milioni di donne in tutto il mondo. La terapia con tamoxifene prevede l’assunzione di una compressa da 20 mg al giorno. La durata ottimale del trattamento è di 5 anni, prolungarlo oltre non sembra aggiungere benefici significativi.

Come tutti i farmaci anche il tamoxifene ha i suoi effetti collaterali. Possono manifestarsi nausea e vampate di calore e solo occasionalmente è stata osservata una diminuzione dei globuli bianchi e delle piastrine. Altri effetti collaterali relativamente frequenti sono la secchezza vaginale, l’irregolarità del ciclo mestruale e l’aumento di peso. Inoltre, la somministrazione prolungata di tamoxifene aumenta il rischio di tromboflebiti e di carcinoma dell’endometrio, per cui sono raccomandabili controlli ginecologici periodici. Infine, sono stati raramente osservati disturbi agli occhi: aumento del rischio di sviluppare una cataratta o alterazioni retiniche che compromettono la discriminazione dei colori. Si raccomanda, quindi, alle donne che eseguono una terapia di lunga durata con tamoxifene, di eseguire anche una visita oculistica ogni 2 anni.

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